La Pubblica Amministrazione, come ogni altro ente, è tenuto a pagare i suoi fornitori. In particolare la legge definisce che tutti gli enti facenti parte della Pubblica Amministrazione siano tenuti a pagare le loro fatture entro il termine normale di 30 giorni, salvo alcune eccezioni in cui il termine è di 60 giorni.
Uno dei fenomeni più caratteristici della questione che stiamo trattando è il cronico ritardo dei pagamenti della P.A. nei confronti degli enti fornitori, tanto che si parla di una ‘cattiva abitudine’ della struttura pubblica nel ritardare sempre i pagamenti, evidenziando delle lacune strutturali in questo campo.
Basti pensare che solamente nel primo semestre del 2016, secondo un’indagine di Ance, ben il 79% delle sole imprese che si occupano di costruzioni lamentava ancora un ritardo nel pagamento delle fatture. Questo non si limita ad essere un fastidioso contrattempo, ma può giungere anche a costringere l’impresa a limitare gli investimenti, e talora anche a ridurre il numero dei dipendenti. I tempi medi stimati del ritardo delle Pubbliche Amministrazioni nel pagamento sono di 168 giorni, cinque mesi e mezzo. La legge, abbiamo detto, pone il termine a 30 giorni e massimo 60.
Le regole per i pagamenti della Pubblica Amministrazione
Per comprendere meglio l’argomento, è bene analizzare quali sono le regole per i pagamenti della Pubblica Amministrazione.
Il decreto legislativo numero 192/2012 ha recepito una direttiva europea nella quale si disciplinava il tempo per il pagamento ai fornitori, in modo da contrastare i ritardi di pagamento ‘nelle transazioni commerciali fra imprese e fra P.A. e imprese’.
Tale disciplina, ai sensi di legge, va ad applicarsi ad ogni pagamento a titolo di corrispettivo di transazione commerciale, e quindi per ogni contratto fra imprese o fra imprese ed enti pubblici, che concernono prevalentemente o esclusivamente la prestazione di servizi o la consegna di merci, a fronte del pagamento del prezzo.
Per le transazioni commerciali nelle quali è parte anche l’amministrazione pubblica, il termine è di 30 giorni, che può essere elevato a 60 giorni laddove la natura o oggetto del contratto, o particolari circostanze, giustifichino la proroga.
Tuttavia ad oggi il rispetto della direttiva europea 2011/07/UE, che aveva l’intenzione di regolarizzare una volta per tutte i termini di pagamento evitando che le imprese dovessero scontare i ritardi della Pubblica Amministrazione, è ancora lungi dall’essere stata effettivamente accolta.
Infatti l’85% delle imprese, nel 2016, lamentava di essere stata vittima di una prassi ‘iniqua’ da parte della pubblica Amministrazione, come rinuncia agli interessi di mora per ritardo sul pagamento, richiesta di accettare tempi superiori per il saldo rispetto a quelli previsti dalla normativa vigente, e via dicendo.
Cosa succede se la Pubblica Amministrazione non paga
La P.A. dovrebbe rispettare i termini della legge. Abbiamo detto che di prassi ciò non accade. Che cosa succede se la Pubblica Amministrazione non paga entro i termini?
Se l’amministrazione entro i 30 (o 60) giorni non ha ancora pagato, iniziano a maturare gli interessi legali di mora, oltre il tasso BCE, dal primo giorno dopo la scadenza fissata.
Questo significa che il creditore potrà agire giudizialmente ed avrà diritto anche al riconoscimento degli interessi.
Quando si invia la fattura alla P.A., essa ha 15 giorni di tempo dalla ricevuta di consegna per notificare telematicamente l’accettazione o il rifiuto della fattura. Attenzione però: la notifica non è obbligatoria per la P.A.
Prima di agire legalmente, ci si deve recare sulla piattaforma della certificazione dei crediti, nota anche con l’acronimo PCC, e controllare se accanto alla voce della propria fattura elettronica inviata alla P.A. ci sia o meno il termine ‘respinta’.
Prima di agire legalmente, provate a verificare che i dati siano corretti e nel caso rettificate il documento.
Se l’Amministrazione non paga il credito certo, liquido, ed esigibile, potete richiedere un decreto ingiuntivo per via giudiziale.